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Il segreto della felicità è la libertà. Il segreto della libertà è il coraggio. "- Tucidide. Θουκυδίδης, Thūkydídēs -Atene,ca. a.C. 460 a.C.- dopo il 440 a.C. -

21 dicembre 2011

Sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

 Discutiamo sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori afferma che il licenziamento è valido se avviene per giusta causa o giustificato motivo.

Che si voglia sopprimere l’art. 18 pare l’ultima delle strategie della destra per eliminare completamente i sindacati.

Il problema è che tutta la questione dei licenziamenti gira intorno a confusione e compromessi fatti anche dai Sindacati, portando così ad una situazione di strumentalizzazione il fatto.

Il licenziamento per giusta causa riguarda questioni morali sia da parte del Datore di Lavoro che dei Lavoratori.

1)    Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo  riguarda il motivo oggettivo del Licenziamento, determinato  per ragioni inerenti all’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ ipotesi di riassetto organizzativo, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
In questa fase il datore di lavoro riorganizza modificando la struttura organizzativa, in effetti può non fare nulla, ma se ben guidato da consulenti  del Lavoro riesce a modificare, l’indirizzo e mantenendo in essere le precedenti situazioni. Una organizzazione complicata ma se ben guidata da consulenti specializzati in riorganizzazione,  fattibile e sicura poiché il Giudice non può entrare nel merito della riorganizzazione.
2)    Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo avviene per un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro. Questo porta in sé più difficoltà per il licenziamento, che nel caso oggettivo, ma  lascia alla ampia,  complicata e generalizzata  e interpretabile definizione delle specifiche dei compiti inseriti nel contratto di lavoro, gli adempimenti dovuti dal lavoratore.  Generalmente inizia con il mobbing per poi passare al richiamo e via sino al licenziamento.
3)    La giusta causa si configura al verificarsi di un inadempimento del lavoratore talmente grave da non consentire  la prosecuzione, anche solo provvisoria, di quel vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore che costituisce il presupposto fondamentale per la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato. Il licenziamento per giusta causa costituisce l'ipotesi estrema di licenziamento alla quale è legittimo fare ricorso solo come "estrema ratio": quando, cioè, nessun altro rimedio tutelerebbe adeguatamente gli interessi del datore.

In diritto del lavoro, la "tutela reale" si differenzia dalla così detta "tutela obbligatoria" in quanto ha ad oggetto la tutela dagli esiti di un licenziamento nullo od illegittimo in aziende che hanno più di 15 dipendenti.

Come si può comprendere, le piccole medie aziende hanno più facilità nel licenziare personale con specifiche mansioni definite al momento dell’assunzione, le quali, mansioni qualifiche, possono essere sostituite da altre e pertanto il lavoratore può essere licenziato.  Il datore di lavoro “previdente” può assumerne secondo le mansioni inserite nel contratto, per poi sostituirle o interpretarle strada facendo.
L’art. 18, alla fine, viene sostenuto solo nelle grandi fabbriche o per imprenditori poco accorti e informati.
I danni per i Lavoratori sono invece pesanti, poiché l’opinione pubblica a sempre individuato l’impossibilita di licenziamento se non per giusta causa, pertanto molti licenziati per giustificato motivo, riorganizzazione   ecc. hanno subito anche l’emarginazione nell’opinione generalizzata e diffusa che se  “vieni licenziato è solo perché hai rubato” pertanto oltre il danno la beffa. Su questa ignoranza generalizzata tanti hanno pagato ingiustamente.

Questo articolo 18 deve essere riconsiderato, ma per riconsiderarlo non si piò dimenticare la propensione poco etica che hanno un certo tipo di imprenditori i quali, ben certi di essere in un sistema corrotto e corruttibile a qualsiasi livello, oltre ad evadere e arrangiarsi  ecc., operano con angheria sulle persone che collaborano con loro.  E’ esemplare il sopruso sulle donne in fabbrica (non dimenticate che siamo nel paese del Bunga Bunga e dello Ius primae noctis ancora in uso, ma ben nascosto  in certe Provincie, realtà, ancor oggi  non  molto lontana dalla descrizione che nell'opera ottocentesca il  Manzoni fa del Don Rodrigo come antagonista prepotente contro due  umili personaggi, quali Renzo e Lucia. Forma mentis maschilista Italiana  da sempre soccorsa dall’oblio e dall’accomodamento della Chiesa e di caste collegate. Oggi questi residui di “signorotti” incarnano lo specchio del tempo, ma è sempre la proiezione di quel Seicento di cui il Manzoni ci ha lasciato il quadro più vasto, multiforme e completo.  Inoltre, sono propensi a una ancor maggior sovrastima di se stessi e questo conduce ad attuare una posizione dominante che ha origini nella propensione a voler imporre l'insieme di convinzioni usate per legittimare o promuovere loro stessi sostenuti da un etnocentrismo mediatico corrotto, collegato direttamente e indirettamente. L’ origine politico-culturale non è ben delineata in quanto definizione stessa della imprenditoria classica, ma coincide con fenomeni già presenti nella storia sin dalla Grecia antica. Infatti  l’uso della mano d’opera  per trarvi beneficio economico  era lo strumento principale usato per accrescere il benessere personale individuale e del potere a se collegato, nella condizione stessa che il sistema politico lo sostenesse, come oggi sostiene l’evasione fiscale e il malaffare , anche se scenograficamente lo  condanna al pubblico.
 Questa situazione nell’ambito Europeo costituisce una anomalia e un tipico vizio Italiano che crea un ecosistema di benessere, conveniente sia alla politica attraverso caste e lobby, che all’economia per la quale  produce una concorrenzialità dopata.
Ben sicuri che bisogna definire meglio questo art. 18  nel seguente modo:

1)    dividendo in due l’ articolo,  in uno la giusta causa e  in un altro il giustificato motivo, questo per evitare ulteriori sofferenze a chi viene licenziato.
2)    Comparando con gli altri statuti del lavoro europei  la norma del licenziamento.
Questo con il vincolo considerato irrinunciabile e prioritario che la questione fiscale e assistenziale sia uguale e comparata a quella degli altri stati europei .
L’impressione è invece che come al solito l’opportunismo strutturato anche politicamente, attraverso una filosofia indotta da tempo,  consista nel non voler comprendere che chi lavora non lo fà nell'imposizione del diritto reale di dominium, pertanto considerandolo come parte della proprietà aziendale , poiché non si può confondere un essere umano con un bene al proprio servizio, ne tantomeno si può considerare  a tutti gli effetti il lavoratore  come un arnese facente parte del patrimonio aziendale. Risulterebbe puro schiavismo come già in diversi casi lo è.
La soluzione della Destra nella diminuzione dei diritti è la crisi delle società capitaliste occidentali, le quali riescono solo a considerare la produzione di ricchezza come appannaggio di qualche singolo a scapito della maggior parte degli altri individui, e non come una conquista collettiva di cui andrebbero in qualche modo ridistribuiti i profitti. 
La Germania e i paesi del Nord Europa hanno trovato una strada di condivisione e partecipazione. L’Italia  invece si ostina ad attuare  una logica che ha portato al potere questa classe politica e che ha fatto guadagnare i pochi sui molti, quella della diminuzione dei diritti e dei benefici  per chi lavora e assolve ai propri doveri e diritti. Esempio pratico è la situazione attuale Italiana nella quale l’ostinazione prima del Governo Berlusconi ora del Monti tenta di rafforzare la ricchezza come appannaggio di qualche singolo spaventando e sottomettendo anche una imprenditoria sana e capace ma resa cieca davanti al futuro.