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Il segreto della felicità è la libertà. Il segreto della libertà è il coraggio. "- Tucidide. Θουκυδίδης, Thūkydídēs -Atene,ca. a.C. 460 a.C.- dopo il 440 a.C. -

16 dicembre 2012

Mafia e potere.


Fonte: Aurelio Montingelli e Anna Gromova.

Nella richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal procuratore di Palermo Antonio Ingroia i nomi di Mangano e Dell’Utri chiudono la catena di quell’asse su cui si mosse l’avanzata della mafia nel paese e nelle strutture dello stato anticipando in modo sorprendente la sua futura evoluzione.

Nelle cronache italiane Vittorio Mangano e’ entrato con il nomignolo di “stalliere di Arcore” che indubbiamente non gli rende giustizia.

Perche’ proprio a lui la mafia affido’ l’incarico di plenipotenziario a Milano.

Aveva la fedina penale giusta per un picciotto in carriera, assegni a vuoto, ricettazione, estorsione, lesioni.

Col tempo avrebbe aggiunto un paio di omicidi che gli valsero uno strano ergastolo ai domiciliari per motivi di salute.

Parecchi anni piu’ tardi, durante i vari processi di mafia, il suo nome compare come figura di primo piano nella conquista del Nord d’Italia e nelle stragi del 1992.

Ma nel 1973 lo troviamo con Berlusconi nella villa di Arcore. Era stato caldamente raccomandato da Dell’Utri, il cui sodalizio con il futuro presidente del consiglio risale agli anni di scuola.

Nel 1973 Berlusconi e’ soltanto un imprenditore rampante che costruisce case con societa’ che nel giro di pochi mesi moltiplicano per mille il capitale, non ha ancora una televisione, eppure l’invio di Mangano in quella che sarebbe diventata la residenza piu’ chiacchierata del mondo fa sorgere il sospetto che qualcuno a Palermo avesse il dono della preveggenza.

Ad Arcore Mangano rimane un paio di anni, ma sono gli anni cruciali in cui Berlusconi sbaraglia tutti nell’edilizia e sbarca nella televisione acquistando quello che sarebbe diventato Canale 5.

Nelle sue sporadiche deposizioni Berlusconi ha ricordato quel periodo con la solita ironia che gli italiani hanno imparato ad apprezzare.

Fa capire di essere stato sottoposto ad estorsioni mentre secondo le testimonianze di alcuni pentiti, fra cui Spatuzza e Massimo Ciancimino, da Palermo sarebbero arrivati finanziamenti per decine di miliardi.

Questa voce e’ stata di recente confermata anche dall’ex direttore della Banca popolare di Palermo che parla di venti miliardi chiesti espressamente da Dell’Utri.

E’ difficile ricostruire l’attivita’ di Mangano a Milano, ma parte proprio dalla sua presenza una penetrazione silenziosa che col tempo ha smesso di camuffarsi.

Secondo “Il Fatto quotidiano” oggi Milano sarebbe la citta’ italiana a piu’ alta concentrazione mafiosa.

Gli appalti dell’Esposizione universale sarebbero gestiti esclusivamente da alcuni importanti clan mafiosi che lascerebbero solo le briciole a poche societa’ meneghine fra l’altro a loro subordinate.

Ma torniamo a Mangano e alle sue oscure funzioni.

Al momento del suo ingresso ad Arcore in una informativa inviata alla locale caserma dei carabinieri dalla polizia di Palermo si affermava che Vittorio Mangano era un noto criminale e che Dell’Utri ne era al corrente.

Il senatore Dell’Utri ha sempre negato di aver conosciuto i trascorsi del suo pupillo che in seguito avrebbe definito un autentico eroe del nostro tempo.

Berlusconi in seguito avrebbe ripetuto le stesse parole in segno di riconoscenza per l’uomo che ormai in carcere non aveva aperto bocca.

Una cosa normale per un uomo d’onore impegnato in una impresa di ricognizione e di reclutamento in vista di un futuro tutto ancora da scrivere.

Poco prima di essere ucciso, forse anche con il concorso di Vittorio Mangano, il giudice Paolo Borsellino cosi’ parlo’ di lui.

Ascoltiamo le sue parole:

"Vittorio Mangano, l’ho conosciuto anche nel periodo antecedente al maxiprocesso, precisamente negli anni fra il 75 e l’80.

Ricordo di aver istruito un procedimento che riguardava una delle estorsioni fatte a carico di talune cliniche palermitane.

Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come uomo d’onore appartenente a Cosa nostra, l’uomo d’onore della famiglia di Pippo Calo’, cioe’ di quel personaggio, capo della famiglia di Porta Nuova, della quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta.

Si accerto’ (ma questo gia’ risultava dal procedimento precedente che avevo istruito io, e risultava anche dal cosiddetto procedimento Spatola che Falcone aveva istruito negli anni immediatamente precedenti al maxiprocesso) che Vittorio Mangano risiedeva abitualmente a Milano citta’ da dove, come risulto’ da numerose intercettazioni telefoniche costituiva il terminale per il traffico di droga che conducevano le famiglie palermitane.

Vittorio Mangano - se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie piu’ importanti - risulta l’interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo nel corso della quale lui conversando con un alto personaggio delle famiglie mafiose palermitane preannuncia o tratta l’arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come magliette o cavalli.

Questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga fu asseverata dalla nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta in dibattimento, tant’e’ che Mangano fu condannato al dibattimento al maxiprocesso per traffico di droga.

Dell’Utri non e’ stato imputato al maxiprocesso per quanto io ne ricordi, so che esistono indagini che lo riguardano, lo riguardano insieme a Mangano."